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“Colera. 50 anni dopo”. L’articolo di Francesco Dandolo sul Corriere del Mezzogiorno

Colera. 50 anni dopo

 di Francesco Dandolo

Quest’anno ricorrono i 50 anni dall’epidemia di colera a Napoli dell’autunno del 1973. Il 25 e 26 ottobre si terrà presso la Fondazione Banco di Napoli il convegno «Prima e dopo il colera del 1973. Le epidemie nella storia di Napoli». Quella che segue è la relazione di Francesco Dandolo che ricostruisce le vicende legate allo scoppio dell’epidemia, alla gestione del contagio e al dibattito politico suscitato dalla diffusione del contagio.

Quando sul finire dell’agosto del 1973 si manifestano i focolai di colera, Napoli vive la stagione della modernità. Una fase distante dalla metropoli di novanta anni prima, in occasione dell’epidemia del 1884. Una modernità che però presenta aspetti molto problematici. Ne sono prova le drammatiche vicende del mese precedente relative alla rivolta del pane, le abitazioni come «ghetti» nel cuore della città, i cumuli di immondizia in molti quartieri, la presenza della criminalità organizzata, la violenza della destra neofascista e della sinistra extraparlamentare. Se poi si guarda alla situazione sanitaria lo scenario è inquietante: si contano oltre 20 mila casi di tifo ed epatite virale ogni anno, quasi cinque bambini su cento nati muoiono prima dei cinque anni di vita, anche a causa della denutrizione. Un bambino di appena sei mesi perisce per questo motivo nei primi giorni in cui divampano le infezioni.

  1. La «grande paura»

La scoperta dei primi focolai di infezione provoca incredulità, ma i ricoverati aumentano rapidamente. Subentra la paura. I focolai di infezione, scoperti dapprima a Torre del Greco e a Ercolano, raggiungono i popolosi quartieri di Napoli. La città ripiomba nel passato. «I microbi siamo noi» commenta Domenico Rea.

 

 

  1. Le cause

Le imputate sono le cozze. E con esse i «cozzicari» del «Pallonetto» di Santa Lucia, che sopravvive di piccoli traffici e commercio dei mitili. Da lì si teme che possa scendere la plebe infuriata quando si decide la distruzione delle cozze del Borgo Marinaro. Opposizione che ci sarà, ma la «battaglia delle cozze» sarà completata. In realtà, le cozze sono innocenti, poiché l’infezione colerica sopraggiunge perché importata da altri Paesi già contagiati.

  1. Il Cotugno

Scrive un giornalista tedesco che il Cotugno è «il tempio della speranza per combattere la morte». Ed è cosi: i parenti dei ricoverati si riversano nei pressi dei cancelli dell’ospedale nell’attesa spasmodica di qualche notizia. Da qualche anno l’ospedale è stato ricostruito con criteri moderni. Vi lavorano con passione medici e infermieri ed è diretto dal professore Ferruccio De Lorenzo. La fiducia nel suo operato è indiscussa. E con lui l’autorevolezza del Cotugno è l’unico riferimento solido in una città che sembra essere allo sbando. Quando il Presidente della Repubblica Giovanni Leone si reca in visita ai malati, esprime il vivo compiacimento, a nome di tutti gli italiani.  Sulla stampa internazionale si descrive il Cotugno come «isola da fantascienza».

  1. Le vaccinazioni

Il rimedio esiste. È la vaccinazione. La popolazione richiede a gran voce la vaccinazione. Gli esperti, invece, sono esitanti, consapevoli che non vi sono dosi, siringhe, medici e infermieri in numero sufficiente per avviare l’immunizzazione. In diverse zone di Napoli le donne con i loro bambini protestano mostrando cartelli con la scritta «vaccino subito». Le esitazioni sono messe da parte, ma la carenza di dosi provoca nuove contestazioni. È l’immagine di una città ferita e allarmata. Si ricorre al supporto della Nato. Gli americani utilizzano le pistole ad aria compressa che iniettano il vaccino con rapidità. Fin dalle prime ore del mattino oltre 10 mila persone si riversano nel palazzetto dello sport di Fuorigrotta, dove è attivo il centro Nato per le vaccinazioni. Nel complesso, i progressi della campagna sono rapidissimi: il 3 settembre i vaccinati sono 800 mila. Un’operazione realizzata con grande ordine, tra la sorpresa degli inviati dei principali quotidiani nazionali.

La crisi economica

L’economia cittadina subisce un colpo durissimo: agli inizi di settembre si calcola che le perdite ammontano a 30 miliardi di lire. Ma è una stima provvisoria. Risaltano i danni provocati dalla proibizione della vendita delle cozze, con circa 20 mila persone disoccupate.  Ristoranti e bar sospendono le attività. Ai rivenditori di frutta e ortaggi sono richiesti solo limoni, il cui prezzo è oggetto di bruschi innalzamenti. L’altro settore in crisi è il turismo, completamente fermo. In generale, si è innescata una psicosi antinapoletana che blocca l’esportazione dei tipici prodotti partenopei. La grave situazione economica moltiplica gli incidenti fra disoccupati e forze dell’ordine. Si paventa il rischio di strumentalizzazioni politiche, a opera della destra fascista.

  1. Il dibattito politico

Alla fine di ottobre il colera è debellato. In Italia si contano di 277 contagiati e 24 morti, di cui 19 avvenuti a Napoli. Un numero contenuto rispetto alla «grande paura», ma il colera dà risalto alle responsabilità politiche. Affiorano lampanti sfasature nel rapporto fra governo e regioni. Con l’entrata in vigore dell’ordinamento regionale, l’assistenza sanitaria è decentrata. Al di là delle competenze, la classe politica è definita «clientelare e feudale». Gli imputati eccellenti sono le «grandi famiglie» della Democrazia cristiana. Hanno grande potere a livello nazionale, ma non hanno fatto nulla per la città. Fra tutti, è messo sotto accusa Silvio Gava. In città si respira un clima pesante: dalla Procura di Napoli si avviano inchieste che coinvolgono politici e ufficiali sanitari. La Giunta presieduta dal sindaco De Michele si dimette. È l’agonia di una classe dirigente. Non sarà, però, la temuta destra neofascista a prendere il sopravvento, ma le forze di sinistra che dopo le elezioni amministrative del 1975 daranno vita alla «Giunta rossa» presieduta dal comunista Maurizio Valenzi. Una nuova classe politica per affrontare le «antiche» emergenze napoletane messe a nudo dal colera.

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